SPECIALI

NE ABBIAMO LE SCARPE PIENE
Troppe volte si leggono post, considerazioni, elucubrazioni molto fantasiose su questo argomento ed il fatte che sia una moda tutta italiana quella di denigrare il nostro Esercito lo sappiamo ma, certe bufale che vanno avanti da anni proprio non le sopportiamo più.
Unendo il materiale del nostro archivio con quello di Stefano Spazzini e di Mattia Uboldi (i quali ringraziamo per avercene concesso l'utilizzo) nonché citando le fonti dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore speriamo, una volta per tutte,
di aprire certe menti ancora ottenebrate sull'argomento scarponi. Vorremmo inoltre invitare voi che ci seguite, a distinguere le varie fasi della campagna di Russia. Poichè la maggior parte dei problemi si riscontrarono quasi esclusivamente durante la ritirata, quando il fronte cedette e tutta l'organizzazione logistica collassò: non prima...
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SCARPONE CON SUOLA IN GOMMA VULCANIZZATA
Abbiamo già ampiamente scritto a riguardo dello scarpone chiodato italiano nella seconda guerra mondiale e di come all’epoca il cuoio fosse utilizzato per la realizzazione di qualsiasi calzatura militare e civile poiché, tale materiale, permetteva di costruire una calzatura residente ed affidabile, da utilizzarsi in tutti i vari teatri operativi.
Dopo aver smontato la favola delle scarpe di cartone, dimostrando come “l’inaffidabilità” dello scarpone riscontrata durante la ritirata, non deve essere attribuita alla qualità dei materiale, ma all’impossibilità di trattare e mantenere il cuoio come da regolamento doveva essere; ora dimostriamo come, le famose calzature con suola “Vibram” non sarebbero mai potute essere distribuite su vasta scala.
Nel 1939, lo Stato Maggiore del Regio Esercito iniziò uno studio volto alla sostituzione della suola in cuoio con quella in gomma vulcanizzata studiando la creazione di Vitale Bramani. Si decise quindi...
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DOTAZIONI INVERNALI CSIR e ARMIR
L’ argomento è fondamentale per meglio conoscere il lavoro che svolse l’Intendenza Speciale Est, il cui operato meriterebbe una premessa per meglio spiegare come era organizzata e come operava, ma questo lo vedremo in altra sede.
A noi interessa vedere come vennero approntate e distribuite le dotazioni invernali delle nostre truppe, le quali sono oggetto di qualsivoglia ingiuria senza la benché minima ricerca storica poiché l’argomento viene spesso volutamente o inconsciamente ignorato.
Protagonista della distribuzione ai nostri combattenti è il “SERVIZIO VESTIARIO ed EQUIPAGGIAMENTO” (s.v.e) del Servizio di Commissariato, ovvero quell’organo preposto al vettovagliamento, al rifornimento di vestiario ed equipaggiamento, dei materiali per il servizio delle sussistenze e di quelli di uso generale.
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PARTE I PARTE II

(NON) COMBATTEVANO CON LA CRAVATTA
Con l’adozione della giubba a collo aperto, grazie alla riforma Baistrocchi, venne prevista l’adozione di una vera e propria cravatta in sostituzione della “cravatta da collo”, in pratica una striscia di tela, in uso fino ad allora. La cravatta fu quindi un obbligo estetico, visto l'adozione dell'uniforme a bavero aperto; va da sè che l'uniforme impersonifica lo STATO e le ISTITUZIONI, per cui la marzialità e l'eleganza erano (e sono tutt'ora) un dogma imprescindibile.​
Dai vari manuali si evince che per la grande uniforme e l’uniforme ordinaria veniva indossata la cravatta di lana nera (o colore speciale) mentre per l’uniforme da marcia quella in maglia di lana grigioverde. In un editoriale - non firmato - e pubblicato sul numero 819 (13 marzo 1934) di “Le forze armate” e dal titolo “La nuova divisa per la truppa” si legge che:
“nella tenuta di parata e nella tenuta ordinaria si porta il colletto rovesciato e la cravatta a maglia di lana nera […]”. ​
Con lo scoppio della guerra, come ben documentato da foto e video dell'Istituto Luce e dall'Archivio Cenetrale dello Stato, nelle zone d'operazione la cravatta non era indossata per ovvie ragioni di praticità, tantè che il 1° luglio 1942-XX, con circolare n.472, vennero definitivamente abolite sia le cravatte nere che grigioverdi; nessuna di queste disposizioni riguardava però i Reali Carabinieri e quei militari che non avevano avuto la serie di vestiario di guerra.​​
La cravatta dunque, era si indossata e prevista dal regolamento, ma in quei contesti di marzialità ed eleganza quali la richiedevano come picchetti, cerimonie, libera uscita etc...; bisogna poi sottolineare che i regolamenti sono redatti in tempo di pace, per cui in guerra si apportano tutte le modifiche del caso. ​

E QUEI BAFFI !?
Molti di voi si stupiscono che nostri soci abbiamo barba o baffi. Ricordiamo a voi che ci seguite, che ogni nostra scelta nel campo della rievocazione, è vagliata da ricerche e letture di documenti, foto ed eventuali circolari.
In merito alla questione barba e baffi, facciamo notare come sul "MANUALE DEL GRADUATO", edizione de "Le forze armate" del maggio 1938-XVI e anche nella identica edizione del marzo 1941-XIX troviamo, al Capitolo I "Regolamento di disciplina militare", paragrafo 13 "Cura della persona":
"Si deve curare la massima nettezza della persona e nel vestire, schivando ogni soverchia attillatura. Il militare può lasciare crescere i baffi ovvero tenerli rasi, e può portare la barba di qualunque foggia, purchè corta. I capelli debbono essere di moderata lunghezza e lasciare bene scoperti collo, orecchie e fronte".
Per cui a fronte di ciò, e con prove fotografiche alla mano, possiamo affermare con assoluta certezza e tranquillità che a differenza di altri eserciti dove la pulizia del viso e la rasatura erano un obbligo, nel regio esercito erano tollerati. A dimostrazione anche di come la nostra mentalità fosse ben più ampia di talune dottrine "democratiche".